LE FOIBE |
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Foibe: una pagina di storia nazionale Dicevamo di archivi scandagliati da tempo. Per quanto anch'essi attardati dal vizio nazionale di travestire la verità storica in funzione degli interessi di parte, gli storici hanno svolto, anche sul tema delle foibe, il proprio compito. Certo, c'è stato un grosso limite: a muoversi sono stati storici, ricercatori, istituti, dell'Italia "al confine orientale". Al di qua dell'Isonzo, ben poco. Ma non si è trattato di storia locale, nel senso - peraltro, improprio - di storia minore. Si potrà, poi, discutere dei ritardi di taluni settori della storiografia troppo politicizzati, non dell'intera storiografia italiana. E non si dovrà dimenticare quanto , all'appuntamento di una corretta informazione storica sull'intera "questione adriatica", sia mancata la scuola italiana (4 ). Non è, in ogni caso, inutile, riassumere i termini della questione, per evitare le consuete confusioni di piani. A cinquant'anni dalla disgregazione del fragile assetto nordorientale dell'Italia uscita da Versailles e consolidata territorialmente nei primi anni Venti, è impensabile continuare a considerare la "situazione giuliana" degli anni tra l'autunno 1943 e la primavera 1945 (ma anche dei mesi e degli anni successivi, oltre lo stesso trattato di pace), isolatamente da un contesto più ampio. L'arco temporale da considerare va, almeno, dall'inizio delle ostilità dell'esercito italiano contro la Yugoslavia in avanti, fino alla "slavizzazione" di pressocché tutti i territori acquisiti tra il 1919 e il 1920 (il 1924, per Fiume). All'aggressione italiana fece seguito l'erompere della guerriglia partigiana. E la Venezia Giulia - come ricorda Raoul Pupo - "finì per diventare retrovia di un nuovo fronte, quello contro i «ribelli» sloveni e croati, per divenire poi, essa stessa, obiettivo e teatro di operazioni del movimento di liberazione jugoslavo"(5 ). L'esperienza bellica fece "deflagrare", insomma, con violenza contraddizioni e tensioni accumulatesi nel corso di decenni, e che il fascismo aveva esasperato. Quando l'armistizio fece precipitare l'intera Italia nel "buco nero" più profondo della sua storia nazionale, nell'Istria, "sulla furia di una tipica jacquerie contadina, si innestarono le rivalse contro gli uomini-simbolo di un regime e di uno stato indistinguibili da parte di chi ne era stato oppresso, assieme al disegno di rovesciare le autorità italiane per sostituirle con nuovi poteri, controllati dal partito comunista croato" (6). Le cinquecento persone che vennero, in quei giorni, trucidate e gettate nelle foibe carsiche furono, dunque, vittime di un'insurrezione sociale e nazionale insieme. E il trauma di quella strage si fissò stabilmente nella memoria degli istriani di sentimenti italiani: come ricordo, e come possibilità "sempre latente". Il futuro della Venezia Giulia è, da quel momento, fortemente ipotecato. Il "contesto" si aggraverà, naturalmente, perché l'intera regione dall'Isonzo alla Dalmazia diverrà progressivamente oggetto di una contesa che, a sua volta, si allargherà progressivamente, fino a diventare, oltreché nazionale, internazionale: non "una disputa bilaterale, soltanto, ma un problema che coinvolgerà direttamente le relazioni fra Stati Uniti ed Unione Sovietica" (7 ). I "seicento giorni" nell'area giuliana furono, infatti, cosa assai diversa rispetto al resto dell'Italia occupata dai tedeschi. Alla fine di una guerra (fra i tedeschi e anglo-americani), di una guerra di liberazione (fra i partigiani, da una parte, divisi tra di loro secondo linee politiche e nazionali brutalmente intersecantesi, e gli occupanti, tedeschi e italiani di Salò, e collaborazionisti, dall'altra) e di una guerra civile, radicale più che altrove, la Venezia Giulia si ritrovò, nel 1945, sotto il pieno controllo dell'esercito popolare jugoslavo di liberazione. Le ragioni dell'anti-fascismo e della Resistenza di parte italiana erano state sopraffatte. La "corsa per Trieste" era stata vinta dagli jugoslavi, anche se l'improvvisa irruzione della II divisione neozelandese oltre l'Isonzo rischiò di rimetter in discussione le cose(8 ). Appena giunte nelle città della Venezia Giulia, le truppe jugoslave procedono al disarmo e all'internamento degli avversari, a partire dai soldati di Salò. Ma subito vanno ben oltre. Ai maltrattamenti, all'internamento nei campi di concentramento dove la morte arriva per stenti e malattia, alle eliminazioni lungo le strade che portano ai luoghi di detenzione, si aggiungono le esecuzioni sommarie. E a cadere non sono soltanto i militari, ma anche le forze di polizia (Questura, carabinieri), e i civili. é una spirale di rancori - come scrive Pupo - che altrove in Italia genera rapide ondate di violenza politica e catene di delitti, e che nella Venezia Giulia, alimentandosi del ricordo bruciante delle sopraffazioni compiute dal fascismo nei confronti delle popolazioni slave e delle spietatezze della repressione antipartigiana, "travolge chi torti ha compiuto, chi avrebbe potuto compierli, talvolta chi, semplicemente, ne richiama la memoria" (9).
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TERRORE A TRIESTE | |
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