Sulle foibe l’Italia ha scelto, pavidamente, il solito quieto vivere
IL FOGLIO QUOTIDIANO 22 AGOSTO
1996
Carlo Panella
Sulle foibe l’Italia ha scelto, pavidamente, il solito
quieto vivere. Ha del delizioso la spumeggiante capacità del giornalismo
italiano di affrontare gli argomenti più scabrosi, senza mai mettere in
imbarazzo dogmi e dogmatici. Si guardi al "dibattito" estivo sulle
foibe: da subito lo si è ristretto a un macabro paragone tra la foiba di
Bassovizza e le Fosse Ardeatine, a un problema di "doppiopesismo",
di misurazioni e comparazioni di efferatezze belliche. Tutto
interessantissimo, naturalmente, ma tutto sideralmente lontano dal nodo
attuale, contemporaneo, che par te da quelle maledette foibe e arriva ai
giorni nostri. Quello che ha dell’incredibile, infatti, non è quanto è
accaduto nelle foibe - purtroppo comune, anche se per mano comunista, a molti
altri orrori di guerra - ma soprattutto quello che è successo dopo le foibe e
che continua ad accadere. L’Italia è infatti stata, è oggi, e
probabilmente sarà in futuro l’unico paese al mondo che non ha difeso, non
difende e non difenderà in nessun modo la propria minoranza nazionale oltre i
confini. L’unico paese al mondo che ben sa che i corpi di migliaia di propri
cittadini giacciono insepolti nelle campagne di uno Stato confinante e che non
ha neanche la forza di chiedere che vengano coperti da un pietoso monumento
(gli speleologi friulani ben conoscono i siti in cui ancora si trovano immensi
ossari esposti agli elementi in Slovenia e Croazia). L'Italia è un paese in
cui la cultura ufficiale ha violentemente negato per quaranta anni l'esistenza
stessa delle foibe, per negare - tra l’altro - qualsiasi responsabilità
(che non fosse di carità cristiana) nei confronti dei figli degli infoibati.
L’Italia è un paese che - è notizia di questi giorni - per amor del quieto
vivere rinuncia anche al principio della restituzione dei beni illegalmente
sequestrati a suoi cittadini costretti alla fuga con la violenza. Il governo
Prodi si accinge invece a firmare un trattato con la Slovenia in cui rinuncia
al diritto degli esuli istriani di riottenere i beni illegalmente sequestrati
(là dove è evidente l’importanza fondamentale del principio, non
l’esiguità materiale dei beni ricuperabili, l’opposto di quanto sostiene
il sottosegretario agli Esteri Piero Fassino). E questo, nel momento in cui un
veto potenziale dell’Italia all’associazione della Slovenia all’Unione
europea la porrebbe nella migliore posizione contrattuale.
Il vero problema delle foibe non è allora assicurare alla giustizia gli
assassini, ma l'incapacità degli italiani di reagire con un minimo di dignità
nazionale, di democratico senso degli interessi nazionali, davanti alle
vittime e ai superstiti di una enorme operazione di pulizia etnica, i dalmati
e gli istriani. Si è arrivati al punto che agli infoibati si è negata, in
nome della realpolitik, non solo giustizia (e questo si può capire, chi mai
può processare un esercito vincitore?), ma addirittura la pietas. Fino a
tutti gli anni Settanta le cerimonie funebri in loro onore sono state semi
clandestine e disertate - per esplicito diktat del Pci - dalle autorità
locali, bisogna aspettare il settennato di Cossiga perchè un capo dello Stato
deponga personalmente una corona sulla foiba di Bassovizza. La storia patria
non ha mai considerato quei morti, "nostri morti", ma li ha lasciati
marcire, letteralmente, fuori le mura. Ma quel che è grave è che si è
arrivati a negare la memoria dei morti, per coprire la rinuncia a difendere
(pacificamente, naturalmente) una comunità italiana di 350.000 istriani e
dalmati abbandonati allo sbando della propria identità di italiani esuli in
Italia, per coprire la rinuncia - che arriva all’oggi - a una politica
estera autonoma e responsabile. Né vale, ormai, la giustificazione della
realpolitik. Essa ha giocato il suo enorme peso durante la guerra fredda, ha
portato, in piena era di compromesso storico, al trattato di Osimo che sanciva
la rinuncia italiana a farsi pacificamente e civilmente garante dei diritti
degli italiani in Yugoslavia (e contro quel trattato nacque la triestina lista
del Melone, che è un po’ la madre di tutte le Leghe), ma da cinque anni,
almeno, non può essere più portata a giustificazione di nulla. Quando le
repubbliche slovena e croata sono sorte nell’Europa del Muro caduto, quando
nessuna realpolitik ha più obbligato alla prudenza, nel nulla che è
continuato, ci si è accorti che le foibe sono il sintomo permanente di un
male tutto italiano, il male che scoppiò nel disastro dell’otto settembre
1943: siamo un paese tanto irresponsabile da avere fatto dell’assenza di
capacità di scelta una linea di politica estera. Oggi la pavidità della
nostra politica estera è tale che la proposta semplice degli esuli istriani e
dalmati, a che l’Italia si impegni a far accettare dalle repubbliche croata
e slovena il "pacchetto" che ha sottoscritto con Vienna a tutela dei
diritti dei sudtirolesi, verrebbe vissuta come una provocazione revanscista.
Così, la distanza siderale che separa la fermezza dei governi di un'Austria
nel difendere la propria minoranza nazionale in Italia, dalla ignavia dei
nostri governi nel permanente abbandono degli italiani in Istria e Dalmazia,
misura la fragilità dell’intero nostro essere nazione. E stupisce la sorda
incapacità della sinistra che è oggi al governo di capire che su questo
terreno, in aperta alternativa alla destra a cui è stata regalata la
rappresentanza del problema, si gioca parte della propria trasformazione in
una forza europea moderna.
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