Dopo 60 anni di vergognosi silenzi, nessun accenno alle colpe
dei comunisti (jugoslavi e italiani) negli eccidi istriani
Una telenovela sulle atrocità delle foibe che ai giovani fa capire molto poco
di Gaetano Saglimbeni
L'attesa era per una fiction di grande chiarezza che,
dopo sessant'anni di vergognosi silenzi, rendesse finalmente giustizia alla
comunità italiana dell'Istria, ai dieci o ventimila nostri connazionali (il
numero esatto non si è mai conosciuto e forse non si conoscerà mai)
orribilmente assassinati e gettati nelle foibe del Carso tra il 1943 ed il '45
dai comunisti jugoslavi con la connivenza o complicità dei "compagni"
italiani, ai 350 mila profughi dell'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia costretti
a lasciare le loro case e le loro terre per sfuggire alla "pulizia
etnica" ordinata dalle truppe occupanti del maresciallo Tito. Ed invece,
con lo sceneggiato Il cuore nel pozzo diretto da Alberto Negrin e trasmesso in
due puntate sul primo canale della Tv di Stato, abbiamo assistito ad una
telenovela di stampo sudamericano, fatta di buoni e cattivi, amori puliti e
stupri infamanti, ossessioni di coppie, bimbi contesi, persecuzioni e vendette
atroci, che a tutto serve (allo spettacolo certamente) tranne a far capire ai
giovani di oggi, ma anche a genitori e nonni che non hanno mai saputo nulla
delle foibe, quello che è realmente accaduto e perché è accaduto.
La storia, quella che nei libri di scuola non abbiamo mai letto (una vergogna
per la quale nessuno ha mai provato e prova rossore), è rimasta purtroppo fuori
dallo sceneggiato ed a raccontarla non sono bastate né le sconvolgenti immagini
dei brutali rastrellamenti operati dai camion con stella rossa della armata
jugoslava né quelle ancora più agghiaccianti di uomini e donne sull'orlo delle
foibe, con le mani legate sul dorso, che si intuisce vadano a finire giù sotto
i colpi di mitraglia dei "titini" (così vengono chiamati nella
fiction televisiva i comunisti del dittatore Tito). Perché avvengano queste
mostruosità, questi barbari eccidi, nessuno riesce a spiegarlo, né i bambini
delle coppie assassinate né il prete che morirà da eroe per salvarli.
"La tragedia è immane", scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera,
"ma il punto di vista dello sceneggiato è piccolo: è come se tutto l'odio
etnico che sta alla base di quegli eccidi fosse mosso da un risentimento
personale, l'eccidio si scatenasse per colpa di un paranoico, un dramma politico
si identificasse nella spietata persecuzione messa in atto da un ufficiale
dell'esercito jugoslavo per strappare ad una giovane istriana il figlio nato da
uno stupro". Nessun accenno ai comunisti, a quelli jugoslavi ed ai
"compagni" italiani che fornivano loro gli indirizzi dei "nemici
fascisti da rastrellare e ammazzare" e spesso li affiancavano in quegli
atti di barbarie. La parola "comunista" non si ascolta nemmeno una
volta in più di quattro ore di trasmissione. Dallo sceneggiato sappiamo invece
che la madre del bimbo nato dalla violenza, che con le sue ossessioni di donna
stuprata ed il rifiuto di cedere il figlio al padre provoca la spietata reazione
dell'ufficiale jugoslavo, era una "fascista". Non militante e nemmeno
iscritta al partito, ma "fascista".
Per fortuna degli italiani (giovani, meno giovani e non più giovani), quello
che il regista Negrin non ha saputo o ritenuto di dover spiegare, lo hanno
spiegato telegiornali e giornali, sensibilizzati (anche quelli vicini alle
sinistre) dalle ferme prese di posizione delle autorità istituzionali, da
Ciampi a Berlusconi, Pera, Casini. "Adesso è possibile", leggiamo nel
messaggio del presidente della Repubblica, "che ricordi ragionati prendano
il posto dei rancori esasperati, perché anche i più giovani conoscano quelle
efferatezze, conseguenza delle ideologie nazionaliste e razziste dei regimi
dittatoriali che si resero responsabili del conflitto". Ed in quello di
Berlusconi, promotore con Fini della legge che ha istituito ufficialmente il
"giorno del ricordo" fissandolo al 10 febbraio di ogni anno:
"Solo il ricordo di ciò che copre di vergogna l'essere umano può impedire
di ripercorrere la stessa strada di odio e generare i medesimi mostri. E' per
questo che nessuna delle pagine della nostra storia può e deve essere
cancellata, anche se il ricordo provoca turbamento, dolore, vergogna".
Vergogna in tutti noi italiani, bisogna dire, non in chi ha compiuto quegli
eccidi, o ne è stato complice, ed ha taciuto.
E' stata nascosta per sessant'anni, quella vergognosa pagina di storia italiana,
da chi sperava forse (e si illudeva) di poterla cancellare per sempre dalla
nostra memoria con la morte degli ultimi superstiti. Tutti insieme, politici,
uomini di cultura, giornalisti, accomunati dalla stessa voglia di nascondere e
far dimenticare. "E' una pagina dolorosa della storia italiana, troppo a
lungo negata e colpevolmente rimossa", ha scritto il segretario della
Quercia comunista e post-comunista Piero Fassino al presidente degli esuli
istriani, fiumani e dalmati. "Nelle foibe morirono donne e uomini colpevoli
soltanto di essere italiani. E l'esodo fu l'espulsione in massa di una intera
comunità, con l'obiettivo di sradicare l'italianità da quelle terre. Né il
contesto politico del tempo, né l'aggressione operata dal regine fascista alla
Jugoslavia possono giustificare le sofferenze atroci di cui furono vittime donne
e uomini innocenti".
Un particolare balza subito agli occhi. Anche nella lettera di Fassino, come
nello sceneggiato di Negrin, la parola "comunista" non compare una
sola volta. E c'è invece, in bella evidenza (come nella fiction la qualifica di
"fascista" alla donna che provocò la vendetta dell'ufficiale
jugoslavo con la sua ostinazione a non cedergli il figlio nato dallo stupro),
l'annotazione della 'aggressione operata dal regime fascista" alla
Jugoslavia comunista. Solo una coincidenza, la perfetta intesa tra il segretario
della Quercia ed il regista dello sceneggiato? Una "giallista" di
grande perspicacia come Agate Christie sosteneva che una coincidenza può essere
solo una coincidenza, ma due coincidenze creano già un sospetto. Ed il sospetto
che si voglia fare ancora oggi opera di mistificazione, al servizio di una
verità di comodo e soprattutto di una parte politica, non sembra del tutto
infondato.
Una domanda non possiamo esimerci dal porre al segretario della Quercia:
"Dove è stato lui, in questi anni? Dove sono stati i suoi colleghi D'Alema
e Veltroni (entrambi direttori dell'Unità, organo ufficiale del Pci), ed i
Cossutta, i Bertinotti, i Diliberto? Nessuno ha mai detto loro che in quelle
tragiche voragini dal nome misterioso (che molti italiani hanno appreso solo in
questi giorni) furono i comunisti jugoslavi, con i "compagni" italiani
che li affiancarono nella repressione di quanti si opponevano alle mire
annessionistiche di Tito su Trieste, a far precipitare, gia morti o ancora in
vita, decine di migliaia di nostri connazionali, e non soltanto militanti
fascisti, anche cittadini che con la politica non c'entravano nulla?".
Ignoravano tutto (guarda caso) anche gli autori di testi scolastici,
enciclopedie e dizionari. L'illustre linguista prof. Tullio De Mauro, ministro
della Pubblica Istruzione in ben due governi delle sinistre che hanno avuto per
sessant'anni il monopolio della cultura e della nostra storia, ha scritto alla
voce "foiba" nel suo Dizionario della lingua italiana per il Terzo
millennio: "Depressione carsica a forma d'imbuto, costituita dalla fusione
di più doline, al fondo della quale si apre un inghiottitoio, usato anche come
fossa comune per occultare cadaveri di vittime di eventi bellici". Di quali
"eventi bellici" si trattasse (se di eventi bellici si trattava) e chi
fossero le vittime finite in quelle "fosse comuni", non lo ha
spiegato. Ed è un fatto davvero sconcertante che dizionari, enciclopedie e
testi scolastici, pieni di testimonianze e fotografie sulla famigerata risiera
di San Saba (lager nazi-fascista per migliaia di deportati, ma dove, per quel
che ne sappiamo, non morì nessuno), non abbiano mai dedicato un solo rigo alle
foibe in cui, a due passi dalla risiera, furono assassinati dai comunisti
migliaia di italiani, fascisti e non fascisti.
Per sessanta lunghissimi anni nessun libro di scuola ha scritto un solo rigo su
quello che avvenne sull'orlo di quelle foibe, con quei poveretti legati con il
fil di ferro a gruppi di otto o dieci e fatti precipitare giù ancora vivi.
Sparavano ad uno o due di ogni gruppo, gli squadroni comunisti ("per
risparmiare pallottole", dicevano), ed erano poi quelli colpiti a morte,
precipitando giù, a trascinare gli altri, ancora in vita, nel fondo melmoso di
quelle "voragini degli orrori". Esecuzioni atroci, crimini mostruosi
contro l'umanità, non meno truci di quelli nazisti. Non dovevano saperlo, gli
studenti italiani, che anche i comunisti uccidevano alla maniera dei nazisti?
Enzo Biagi, il "grande vecchio" del giornalismo italiano, si è a
lungo preoccupato (e lo ha scritto in decine di articoli) delle lacune
"culturali" del dottor Silvio Berlusconi, il quale non sapeva (pensate
un po', amici lettori) che Alcide Cervi, padre dei sette fratelli trucidati dai
fascisti, fosse morto (nel suo letto, nel 1970). Una lacuna grave e
imperdonabile, per il giornalista, quella dell'imprenditore di Arcore che è
diventato capo del governo italiano. Non si è mai preoccupato però, il grande
Biagi, delle gravissime (quelle sì) e assolutamente imperdonabili lacune
storiche imposte dalle sinistre (da politici, intellettuali, giornalisti) a 56
milioni di italiani, condannati per sessant'anni a non sapere nulla dei
mostruosi eccidi compiuti dai comunisti nelle foibe.del Carso.
Non ne sapevano nulla, di quegli orrori, i Biagi, i Bocca, i Curzi, il Furio
Colombo oggi direttore dell'Unità. Da giornalista (e non soltanto come
cittadino italiano), debbo dire con estrema franchezza che, se i miei illustri
colleghi-politologi non sapevano, hanno solo da rimproverare se stessi e le
proprie coscienze, perché avevano il dovere di informarsi e raccontare ai
lettori quello che era avvenuto in quelle tragiche fosse. E se sapevano e non
hanno scritto nulla, le loro colpe erano (e sono) ancora più gravi e
imperdonabili. Il giornalista deve raccontare tutto, piaccia o no alla parte
politica cui appartiene (se appartiene ad una parte politica); e, soprattutto,
non ha alcun diritto di distinguere tra morti ammazzati degni di essere
ricordati ed onorati (quelli di sinistra) e morti ammazzati condannati ad essere
ignorati per sempre dalle cronache e dalla storia (quelli di destra).
Gli italiani hanno cominciato a sapere qualcosa di quegli eccidi soltanto nel
2000, e qualcuno si è finalmente scandalizzato per il vergognoso silenzio dei
nostri libri di scuola, proponendo una sorta di par condicio scalfariana,
perché in ogni aula ed a tutti i livelli si possa leggere e parlare anche degli
"infoibati" del Carso, non soltanto delle vittime del fascismo. Sono
insorte subito le sinistre, strepitando che Berlusconi ed il centrodestra
volevano "stravolgere la storia e reprimere la libera circolazione delle
idee" (parole del comunista e post-comunista Luciano Violante, ex
presidente della Camera).
Per le sinistre di casa nostra, chiaramente, la libera circolazione delle idee
consisteva fino a qualche anno fa nell'impedire che gli alunni delle scuole
(giovani e meno giovani) conoscessero la verità su quegli eccidi. Adesso hanno
dovuto (obtorto collo, per dirla con i latini) cambiare idea. Sono già in
stampa i libri che racconteranno anche a scuola (finalmente!) quella tragica
verità. Una pagina vergognosa della storia d'Italia, che le sinistre, per
quanti sforzi abbiano fatto, non sono riuscite a cancellare per sempre.
Gaetano Saglimbeni
(www.gaetanosaglimbenitaormina.it)
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