LE FOIBE |
le foibe - rassegna stampa |
Vespa e gli anni difficili della «questione Trieste» Si intitola «Vincitori e vinti. Le stagioni dell’odio dalle leggi razziali a Prodi e Berlusconi» il nuovo libro di Bruno Vespa, il giornalista di «Porta a porta», che Mondadori distribuirà nelle librerie martedì. Una lunga cavalcata attraverso le lotte che hanno diviso l’Italia negli ultimi settant’anni. Non poteva mancare un capitolo dedicato alla «questione
Trieste», intitolato «Dove siete, brigate partigiane dell’Alta Italia?»,
che anticipiamo per gentile concessione della casa editrice Mondadori. Lubiana era in mani nazifasciste. Sarebbe stato
ragionevole liberarla subito. E invece no. Tito sapeva che la realpolitik gli
avrebbe restituito a tavolino la città, che fu raggiunta infatti soltanto l’11
maggio. Erano parti d’Italia che occorreva conquistare per sottrarle alle
potenze occidentali. Accadde così che i reparti neozelandesi che si muovevano
in zona furono drammaticamente lenti. E i reparti slavi drammaticamente veloci.
Il 20 aprile varcarono il confine italiano. Il 1° maggio entrarono a Trieste e
a Gorizia, il 3 a Fiume, il 4 a Pola, completando l’occupazione dell’intera
penisola istriana. (Un reparto neozelandese arriverà a Trieste il 2 maggio, ma
troverà che in poche ore gli slavi hanno assunto il pieno controllo militare
della città). I triestini, i goriziani e gli istriani erano disperati. Racconta un testimone, lo scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini («Primavera a Trieste»): «Dove siete, brigate partigiane dell’Alta Italia, di cui sentiamo parlare da mesi? Possibile che nessun comandante abbia l’occhio acuto e il cuore pronto, che nessuno pensi a passare il Piave, il Tagliamento, l’Isonzo...? E che fa la “Osoppo”, che è quassù, a poche decine di chilometri da noi? Possibile che... soltanto gli iugoslavi pensino al Carnaro, all’Istria, a Trieste, a Gorizia…? Non possiamo crederlo... Ma una voce, nel fondo della nostra amarezza, ci dice di no: gli italiani... saranno assenti. Nessuno ci verrà in aiuto. Gli italiani, come troppe altre volte, scambiano per storico l’effimero. Gli italiani ammazzano Claretta, e non si accorgono che l’ala della storia batte sulle Alpi Giulie». Poco dopo lo scrittore doveva arrendersi alla drammatica
evidenza e trasformarsi in cronista della sconfitta nazionale: «Nella tarda
serata di ieri gli uomini di Tito, incoraggiati dall’inerzia degli Alleati,
espellevano brutalmente il Cln dalla Prefettura, ch’è restata così nelle
loro mani. E tutti gli edifici pubblici... sono ormai occupati e vigilati, con
le mitragliatrici a ogni entrata, dagli iugoslavi. Da ogni parte vengono
segnalati arresti d’italiani più che di fascisti, e le nostre bandiere
vengono strappate dalle finestre». Crainz cita il diario di Mafalda Codan, figlia e nipote di possidenti di Parenzo arrestati e gettati nelle foibe nella prima ondata di violenze dell’autunno del 1943: «Con un filo di ferro mi legano le mani dietro la schiena e mi fanno salire su una macchina … Prima sosta, Visinada. Mi portano sulla Foibe, la pulizia etnica del maresciallo Tito, piazza gremita di gente, partigiani, donne scalmanate urlano, gesticolano, imprecano. Stoinich mi presenta come italiana, nemica del popolo slavo, figlia di uno sfruttatore dei poveri, tutti cominciano a insultarmi, a sputacchiarmi, a picchiarmi con lunghi bastoni e a gridare: a morte, a morte...». Bruno Vespa |
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