5 maggio 1945: Caduti per la libertà
Il 5 maggio 1945
di fronte ad un corteo spontaneo di migliaia di triestini
inneggianti all'Italia i titini sparano sulla folla. Cinque
manifestanti cadono sotto il piombo dell'invasore, altre decine
rimangono ferite.
articolo di Paolo
Radivo tratto da [TriesteOggi]
del 6 maggio 2004
Quella mattina di 59 anni
fa, finito il coprifuoco (che durava fino alle 10), un drappello non certo
cospicuo di donne, bambini, operai e tramvieri fu fatto dirigere dal nuovo
potere costituito verso piazza Unità per manifestare, con tanto di
bandiere e cartelli, a favore della Jugoslavia, oltre che della
"Fratellanza italo-slovena".
Per reazione una passante sventolò vicino all'Hotel de la Ville un
tricolore italiano davanti ad alcuni soldati neozelandesi. Uno di questi
afferrò la bandiera, la sventolò e se la legò al collo. Alcuni
passanti, presi dall'entusiasmo per questo inatteso gesto, portarono il
milite in spalla fin sotto la prefettura e il municipio e poi tornarono
davanti all'Hotel de la Ville, che pochi giorni prima era stato requisito
dagli jugoslavi dopo l'allontanamento dei tedeschi. Un ufficiale titino
uscì dall'edificio e si pose sulla scaletta di un camioncino sottratto ai
tedeschi chiedendo alla gente lì radunata che cosa volesse. La risposta
pare sia stata "Italia, Italia". Intimorito sia dalla chiarezza
della risposta sia dal numero crescente di manifestanti, l'ufficiale pare
abbia sostenuto che Tito non voleva Trieste, ma solo il benessere della
città.
Incurante, la folla proseguì verso piazza Tommaseo. Una parte continuò
per piazza della Borsa e per corso Italia, un'altra risalì per via San
Nicolò e, all'altezza di via Roma, via San Spiridione e via Dante,
confluì nel folto corteo che spontaneamente si era formato. Diffusasi
infatti la notizia della bandiera italiana "presa in carico" da
un soldato neozelandese, erano cominciate ad affluire in zona sempre più
persone. Alle finestre di casa molti esposero i tricolori italiani,
alcuni ancora con lo stemma sabaudo, altri con un buco in mezzo. Delle
bandiere vennero anche lanciate dalle finestre ai dimostranti, che le
presero e le sventolarono ben volentieri in un clima di festa e di
ritrovata libertà.
Nel frattempo il piccolo corteo filo-titino si era ben che dileguato.
Una
volta che il corteo ebbe raggiunto piazza Goldoni, ci fu chi propose di
andare a San Giusto, ma il capitano in congedo
Bruno Gallico "contropropose" di recarsi al sacrario di Oberdan.
Cantando "Fratelli d'Italia", migliaia di manifestanti (c'è chi
ha detto addirittura 50mila) tornarono in corso e girarono alcuni per via
Imbriani, altri per via Dante. La polizia titina, fortemente preoccupata,
prima tentò invano di disperdere i manifestanti, poi sparò sulla folla
tra corso Italia e via Imbriani uccidendo Claudio Burla, Giovanna Drassich,
Carlo Murra, Graziano Novelli, Mirano Sancin e ferendo altre dieci
persone, che furono ricoverate all'Ospedale Maggiore.
Anche le bandiere italiane ai balconi furono
crivellate di colpi.
I manifestanti, presi dal panico, cercarono di mettersi in salvo, ma il
caos e la paura provocarono ulteriori ferimenti. I miliziani titoisti
corsero dietro a chiunque si trovasse a tiro, persino dentro gli edifici
privati. Del resto non riconoscevano certo la proprietà privata... Alcuni
salirono sui tetti per meglio controllare la situazione. Nel frattempo i
prelevamenti di italiani a scopo di arresto, deportazione o infoibamento
si accentuarono.
Il comandante delle truppe neozelandesi di stanza in città, generale
Freyberg, convocò la sera stessa nel palazzo del Lloyd alcuni ufficiali
sia jugoslavi sia neozelandesi minacciando un intervento armato nel caso
fossero sopraggiunte altre truppe con la stella rossa. Ovviamente il
generale informò i sui superiori di quanto era accaduto. Pare sia stato
proprio questo sollecito di Freyberg a smuovere gli alti comandi
anglo-americani, che fino ad allora avevano nicchiato.
L'esito fu per intanto che le autorità jugoslave di occupazione,
presentatesi il 3 maggio in qualità di Comando supremo
della Slovenia che aveva proclamato lo "stato di guerra" (!!!),
cominciarono a parlare di Settima Federativa: magra consolazione, si
dirà... Il giorno successivo, coprendosi di ridicolo, fecero pubblicare
su "Il nostro avvenire" un articolo in
cui attribuivano la colpa della strage ai fascisti e alla Gestapo, che
avrebbero sobillato e organizzato la folla.
Facciamo presente che tanto i
fascisti quanto i nazisti si erano dileguati da Trieste prima del 30
aprile, lasciando che
a combattere contro i volontari della libertà e i titini fossero
essenzialmente i soldati della marina da guerra tedesca. Ma
ormai il 5 maggio i combattimenti in tutta la Venezia Giulia erano
terminati. Per giunta i dimostranti italiani non erano
armati se non di qualche bandiera e di tanta speranza. La loro falcidie fu
dunque assolutamente gratuita.
Purtroppo la notizia della strage non ebbe vasta eco in Italia, dove il
governo e i partiti del Cln, evidentemente ben "consigliati"
dagli anglo-americani e dai russi, non avevano interesse a creare un
"caso Trieste" nel momento in cui sull'Europa stava calando la
"cortina di ferro". Né alla "stampa libera" importava
molto della faccenda...
Eppure i tragici eventi del 5 maggio 1945 davano un quadro molto preciso
della situazione: la città era occupata da
truppe straniere, che non esitavano a sparare sulla folla straripante che
osava manifestare pacificamente e gioiosamente
la sua volontà di tornare all'Italia. Ma forse in Italia l'ordine del
nuovo potere ciellenistico era di dimenticare questi sventurati e ingenui
fratelli in previsione della rinuncia a quei territori...
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